mercoledì, dicembre 20, 2006




... prima di dormire...

martedì, dicembre 19, 2006



... un altro po' d'immagini e una foto... un bel ricordo di Bolzano...

lunedì, dicembre 18, 2006

riEkolao





... primi studi dell'interminabile serie di ekolao...

sabato, dicembre 16, 2006

Donne

the fever- i cattivi

I cattivi all'attacco...

the fever

la corsa del treno

testa

l'abile esercizio di tenere la testa sulle spale

venerdì, dicembre 15, 2006


API
Non ci credeva e basta.
La pace e la quiete, basta!
Non era fatta per lei quella vita. Lei era per la città e per il traffico. Si trovava bene soltanto tra le auto in colonna. Il suo piacere più grande era il cappuccino la mattina, bevuto di corsa tra un sacco di gente che fumava e che parlava ad alta voce.

No, non era assolutamente fatta per quella vita di traffici campestri. Mattine silenziose, pomeriggi assolati e lunghi addirittura un giorno.
E le passeggiate, insopportabili. Con il corpo che esigeva continue cure per non puzzare, per non soffocare, per non soccombere. Voleva la sua comoda poltrona e i suoi CD masterizzati.
Senza parlare di tutto quel tempo a disposizione per pensare, a cosa poi, se non c’era niente da organizzare?
Aveva la testa che le scoppiava; in quei giorni l’aveva messa a dura prova. Continuava a riempirla di pensieri, non smetteva di costruirsi dei discorsi ma non bastavano mai, sembravano galleggiare nella sua zucca come le cacche di un pesce rosso nella polla. Infatti da almeno due giorni aveva l’impressione di soffrire di mal di mare, sentiva anche lo sciabordio dell’acqua nella sua testa.
Basta, a casa!
Aveva resistito anche troppo, ora era arrivato il momento di andarsene.
Che se la prendessero tutti in quel posto…

Questo pensava Elsa nella sua auto lanciata a tutta velocità, mentre tornava verso casa, fuggiva, dalla settimana di anti stress organizzata nelle campagne Toscane dal suo gruppo “…”.
Non sapeva come aveva fatto a farsi convincere a passare tutto quel tempo tra insetti e odori. Mentre pensava questo immaginò la sua macchina completamente infestata da insetti e animali di ogni genere.
- Non mi basterà una intera stagione per ripulirla da tutte le schifezze che sono entrate qui dentro.

Detto questo schiacciò ancora di più il pedale dell’acceleratore schizzando a tutta velocità sulla discesa di strada sterrata, in una nuvola di polvere rauca di odori, verso la strada asfaltata.


Apri gli occhi

Il profumo era quello di sua madre, quando la mattina veniva a svegliarla. Non lo faceva mai in maniera violenta ma sempre con dolcezza e amore. L’aspettava con piacere la mattina e anche quando si svegliava prima di lei restava sdraiata ad aspettarla e fingendo di svegliarsi solo allora.

Sospirò a lungo e si stiracchiò aprendo gli occhi piano, li richiuse e li spalancò di colpo.
Dov’era?

Come se avessero alzato di colpo il volume di una radio senti un fortissimo ronzio attorno, era dentro ad una capanna, baracca, non capiva. Vedeva pareti di pietra, legno e frasche, una porta accostata, sembrava l’interno di una stalla.

Da fuori filtrava della luce, era giorno, che ci faceva lì e come ci era arrivata? Dov’era la sua macchina?
Sembrava che l’interno fosse pieno di api o vespe, il ronzio era fortissimo, fece per alzarsi e il rumore cessò. Attese per un momento e riprese a muoversi, improvvisamente vide indistintamente un nugolo di insetti volanti, api forse, che si gettarono nell’apertura della porta sparendo. Silenzio.

Aveva paura, che succedeva?

Il suo vestito, completamente rovinato. Si mosse appena, aveva paura di fare troppo rumore, era strappato, rotto in più punti, ferocemente scucito.

Ma che era successo?
Si guardò la spalla e rimase immobile, terrorizzata dal mostro che le stava danzando sulla pelle. Un’ape, dio, un insetto, un mostro che l’avrebbe sicuramente morsa, divorata. Rimaneva ferma come ipnotizzata da quell’essere le sembrava di vederne le zampette che scavavano nella sua pelle pronto a tuffarcisi dentro. Lo guardava con la bocca aperta, un varco, un accesso per il mostro, pensò. Con un clak la chiuse di scatto. Al rumore l’ape volò via seguendo le altre sue compagne.

Elsa si lasciò andare sulla paglia, esausta, proprio non riusciva a soffrire gl’insetti.

La porta della capanna si aprì piano e contro la luce si stagliò una figura di uomo.
- Ti sei svegliata, bene.

Disse con voce calda la figura.
- Quando ti sentirai, puoi venire fuori…
- Ma, dove mi trovo, chi…
Elsa non riuscì a finire la frase che l’uomo era già uscito, chiudendo la porta.
Ma che succedeva, la testa le stava girando e non riusciva a capire dove si trovasse. Se si trattava di uno scherzo di quegli sballati dei suoi amici, giurò tra se di non rivolgergli mai più la parola.

Ricordava vagamente che stava andando in macchina verso casa, si ricordava appena che era seccata della settimana “molle” come l’aveva ribattezzata lei, e che rivoleva vedere il suo letto e i suoi cd…
E ora che cosa ci faceva lì? Coma c’era arrivata? Dov’era la sua macchina? E chi era quello lì?

Si alzò in piedi e scosse il vestito, era parecchio sgualcito e rotto in più punti, le girava la testa ma si fece forza e andò verso la porta.




Un mondo nuovo

Si ricordò che doveva respirare.
E non fu facile perché era occupata a non svenire. Quello che aveva davanti agli occhi era qualcosa di incredibile. Stava dentro a qualcosa di inimmaginabile.
Stava sognando, sicuramente stava sognando. Non era possibile quello che aveva davanti.

Elsa aveva aperto la porta ed era stata investita dalla luce ma quando aveva abituato i suoi occhi si era trovata in un altro mondo.
Non poteva spiegarsi meglio quello che aveva di fronte. Era uscita e aveva fatto un giro su se stessa guardandosi attorno. La casa, non più di una baracca, stava al centro di una piccola radura circondata da alberi, sembrava. Il cielo era azzurro, forse. Tutto era in pace e i rumori arrivavano come attutiti… Forse c’erano rumori.
La cosa incredibile e che tutto era come indistinto, molto luminoso. Come disegnato, ecco, tutto era come se fosse un disegno incredibilmente realistico.
Riuscivi a vedere e distinguere le cose ma erano l’interpretazione della realtà. Era vero ma non reale. Come visto attraverso gli occhi o meglio la matita di un artista.
Lei stessa ora che si guardava non si vedeva come sempre si era vista ma più indefinita e allo stesso tempo più precisa. Si guardava le mani e le vedeva come mai le aveva viste, le osservava curiosa e attenta scoprendo particolari che non aveva mai osservato.

Un’ape le si posò sul palmo della mano. Questa volta non si spaventò, ma rimase a guardarla affascinata dai particolari che riusciva a vedere. Tutto le sembrava spaventosamente affascinante. Continuava a sospirare e fare urletti di gioia e terrore.
- Non le farà del male, sta solo facendo conoscenza.

La stessa voce calda di prima. Alzò lo sguardo e di fronte a lei si trovò l’uomo che le aveva parlato nella capanna.

- Dove sono? Disse Elsa con un filo di voce. – Chi è lei?

In mezzo a quel mondo disegnato e splendente vedeva bene l’uomo. La guardava con dolcezza in piedi, rilassato. Con la mano, abbronzata e ben curata si spostò una ciocca di capelli dal viso. Erano lunghi capelli di un biondo caldo, lisci. Abbassò la mano ed Elsa seguì con lo sguardo il movimento del suo gesto, come se lui volesse mostrarsi, mostrarle che non nascondeva nulla che potesse farle del male.
Era alto e slanciato, una camicia appena sbottonata sul colo e chiusa dentro un gilet di pelle, che faceva pendant coi calzoni dello stesso colore.

- Api. Puoi chiamarmi così se vuoi.

Api, si avvicinò e le prese una mano, il suo tocco era dolce e delicato, poi si girò portandola con sé. S’incamminarono verso gli alberi vicini, Elsa non sapeva cosa pensare, si guardava attorno con la curiosità di una bambina…
- Sono morta? E tu sei un angelo?

L’uomo rispose, senza voltarsi:
- Ancora no, solo se lo vorrai. Non sono un angelo.

- Sei qui per aiutarmi?

- Potrò farlo solo se tu aiuti me.





Viva?


Rumore, rumore, rumore. Un martello nelle orecchie, una morsa nel cervello, odori pesanti, sapori asciutti e orribile bruciore dappertutto. E respiro affannato, senza tregua.
Parole, parole, parole, ma chi è che parlava? A chi parlava?
E lo stomaco in testa e le braccia staccate, e le dita insensibili, e gli occhi ciechi e abbagliati, e rumore, rumore, rumore…

La luce si accese nel suo cervello e, per un attimo solo, tutto quanto ebbe un senso; della gente vestita di bianco si affannava sopra di lei, urlava qualcosa, la toccava, le sorrideva…

Si attaccò con tutte le sue forze a quell’immagine, sicura che se l’avesse persa sarebbe annegata in un mare profondo di pazzia. Ma le onde di quel mare erano forti e fragorose, lottava per rimanere a galla… ma non poteva non respirare. Cercava l’aria, voleva alzare la testa per respirare quell’immagine, aprì la bocca…





Bianco

Il sapore era quello dei baci di sua madre.

Api stava seduto davanti a lei in silenzio. L’aveva accompagnata al margine del boschetto e l’aveva invitata a sedersi e dopo di lei si era accomodato anche lui. Aveva aperto la camicia sul petto e fatto scivolare le dita all’interno. Si era avvicinato e con le stesse dita le aveva toccato le labbra regalandole una scossa di leggera dolcezza.

Il sapore era quello del seno di sua madre.

Era la vita. Ciò che la nutriva, ciò di cui aveva bisogno per continuare a vivere.

- Dove sono?

- Dentro di te.
Disse Api con un breve sorriso, sistemandosi la camicia sul petto.

- Ma com’è possibile…
Cominciò col dire Elsa, ma fu fermata da Api.
- Guarda. Le disse, indicandole con un gesto il cielo alla sua destra.

Era come se qualcuno stesse cancellando il cielo e la terra con un enorme manata. Come quando su una lavagna si strofina uno straccio ancora sporco di gesso e rimane la traccia slabrata dei segni. Lo si fa in fretta perché si ha premura di scrivere o disegnare le cose da dire e spiegare. Non ci si cura di togliere tutte le tracce, si scrive più forte sui segni rimasti. Qualcuno aveva strofinato in fretta il cielo e la terra alla destra di Elsa facendo spazio a dei segni, a delle immagini.
Era come guardare dei disegni in movimento, che qualcuno scarabocchiava e cancellava in fretta per disegnarci sopra ancora e velocemente.
Elsa vide creare una macchina e poi ancora la stessa ma più grande, un finestrino dal quale si riconosceva una donna al volante. Era lei, eccola disegnata più grande con l’espressione arrabbiata di chi ce l’ha con tutti.
Ancora una cancellatura, imperfetta, rimangono gli occhi corrucciati e arrabbiati. Un piede sull’acceleratore, una ruota che gira, tanti segni, polvere, una strada sterrata. Ora le immagini si fanno più frettolose e i segni si confondono gli uni agli altri. Ancora gli occhi, adesso sbarrati dallo spavento, un’albero e i segni si sommano ancora, di colpo un pasticcio, un intrico di segnacci che dissolvono piano in una ruota che gira, da sola, sui resti di una macchina schiantata.

- Correvi troppo, hai ucciso un albero e quasi te stessa.
Le disse Api.
Si girò a guardarlo, lui ancora osservava la scena disegnata che piano piano andava svanendo mentre il cielo e la terra si ricomponevano nella scena irreale di prima.

- Quella ero io, non sono morta?
- Ancora no, te l’ ho detto.
-



Balletti

IL ritmo era forsennato, le comparse tantissime e coordinate, la rappresentazione per pochissimi intimi, soprattutto in onore di Elsa. Lei era al centro della scena e tutti facevano a gara per starle vicini, per portarle un aiuto.

Vista dall’alto, la camera di rianimazione dell’ospedale con i medici che spogliavano Elsa e la pulivano, l’intubavano preparandola all’intervento, sembrava una scena di un film con Ginger Rogers e Fred Astaires. Come ballerini si muovevano a ritmo e sincronizzati, componendo delle geometrie perfette, come in un caleidoscopio umano. Come api danzanti in un alveare.

Il pubblico dei suoi amici, accorsi al suo capezzale assisteva attraverso il vetro che divideva la sala alla danza, rapito.




Lacrime e miele

- Abbiamo poco tempo…

Cominciò col dire Api.

- Non sarà facile per te, ma ti chiedo di scoltarmi, ho una storia da raccontarti che ti svelerà il mistero nel quale sei immersa, e ti aiuterà ad uscirne, se riuscirai ad aiutare me a vivere.
- Non capisco, mi sembra d’impazzire, sto sognando? Voglio svegliarmi…

Api sorrise, e osservando le sue mani giocare, con calma parlò.

- Si iniziamo da qui, non stai sognando sei come in attesa di partire, sei in uno stato di grazia, non viva né morta, l’unica che possa salvarmi liberandomi dalla dolcezza che mi ucciderebbe…

Elsa guardava la camicia di Api che sembrava muoversi da sola, pulsava, come se le fosse evidente il battere del cuore di quell’uomo. Ne sentiva il rumore, un ritmo sommesso, un ronzio, che adesso cresceva.

Attorno ad Api si erano posate decine, migliaia di api e altre gli volavano sopra come in attesa di scendergli addosso.

- … vedi, ne sono pieno.

Con le dita si slacciava la camicia e piano l’apriva mentre le api ne accompagnavano i gesti.
Il tessuto cadde piano sull’erba lasciando scoperto quell’incredibile torace.

Elsa sgranò gli occhi, non riusciva a credere a quanto vedeva, non vedeva il petto villoso di un uomo ma un favo umano. Avvicinò la testa di un poco per vedere quella meraviglia spaventosa. Tutto il petto fino alla cintura e oltre immaginò, era fatto da piccole cellette di api. Vedeva brulicare la vita di migliaia di piccoli esseri che entravano e uscivano dal suo torace portando polline e creando… miele?

Api la guardò.

- Io sono la loro casa, sono loro. Mi tengono in vita e io le proteggo.

- Com’è possibile…

Mormorò Elsa guardando quel petto.

- Amore, passione e morte. Mescola questi ingredienti e aggiungi sfortuna e fortuna, inventa le parti e avrai uno come me. Forse.

Ora lo guardava negli occhi. Era un mostro? Doveva avere paura? Cosa le avrebbe fatto?

- Ma come posso aiutarti?

Api guardava lei.

- Puoi farlo perché non sei ancora morta e sapresti usare il mio corpo, ne hai bisogno per continuare a vivere. Devi cibartene, devi mangiarmi e non posso spiegarti di più ma, credimi è l’unico modo per me e per loro, e per te, per comtinuare a vivere.

- Mangiarti?

- Non tutto, soltanto il mio cuore…

Elsa si ritrovò in piedi con le spalle a quello che dovoeva essere un albero, con gli occhi sgranati che urlava a quell’essere pieno di api, d’insetti schifosi che gli giravano attorno, che lo infestavano che la terrorizzavano.

- No, non è vero, sto solo sognando…

Si guardava attorno scuotendo la testa come impazzita, la girava sempre più forte, inquadrava pezzi di cielo, rami, foglie. Vedeva uccelli e insetti e tutti spaventosamente finti. Si sentiva mancare, e quell’uomo che ora le si avvicinava…

- NOOO!






Di qua.

Che pubblico strano, non applaudiva, né faceva rumore. Tutto assiepato dietro il vetro di quel palcoscenico seguiva il balletto di medici e tubi e infermieri. Si muoveva al ritmo di battiti cardiaci e zoccoli e barelle trascinate. Respirava l’odore di alcool e medicine aspettando la fine dello spettacolo, aspettando di applaudire alla vita o piangere la morte.

Il colpo di scena arrivò al momento giusto, come da copione. La macchina tutta colorata aveva registrato un picco. La bocca di Elsa si era aperta all’urlo muto di un NOOO!

Il pubblico strano aveva trattenuto il respiro, appoggiato le mani sui vetri seguito i movimenti dei medici che avevano preso Elsa e tastata, massaggiata, stretta, scossa…


Di la.

Quelle mani forti la tenevano stretta, la scuotevano, obbligandola a guardare davanti.
Ma quegli occhi e quel viso dolce che le stava davanti.
Si fermò, esausta e si lasciò andare scivolando lungo quel bel disegno di albero rimanendo seduta col viso appena solevato a guardare quel volto.

- Vuoi che ti mangi? Che ti uccida?

Api s’inginocchiò ai suoi piedi e sorrise rimanendo a guardarla.

- Tutt’altro, vorrei che tu mi aiutassi, mi salvassi. Io non posso morire, neanche se lo volessi, ma posso impazzire e diventare crudele. Un mostro impazzito e fare del male. Il miele che riempie il mio corpo mi tiene in vita ma se non riesco a levarne una parte potrei soffocare il mio cuore e diventare cattivo, più cattivo di quanto tu possa lontanamente pensare.

- Ma non, non… Balbettò Elsa con un filo di voce.

- Ascolta, tu stai per morire, hai visto anche tu l’incidente. La macchina sulla quale eri si è schiantata su un albero e adesso sei in uno stato di piccola morte. So che non credi a quanto ti dico, che è più facile credere di essere in un sogno, ma guarda i miei occhi e ascolta il tuo cuore. Puoi continuare a vivere se lo vuoi. Prendi la vita che esce da me. Io non posso svutare me stesso buttando ciò che ho dentro. Posso solo donare la vita che cresce dentro di me a qualcuno che può contenerla. Solo tu puoi prendere il miele di cui sono pieno, per vivere e per farmi vivere…

- IO, io, non so, non posso… Dio…

Api si avvicinò ancora un poco e con la mano le accarezzò i capelli. Lei lo guardava fisso negli occhi senza capire. Non sapeva cosa fare. Lui la guardò, le sorrise prese con tutt’e due le mani il suo viso lo avvicinò al suo e accostò le sue labbra alle sue.
Tutto era avvenuto in una fretta eterna. Elsa aveva capito l’intenzione che aveva Api, non aveva fatto nessuna resistenza ma l’aveva guardato, osservato baciarla con curiosità, con interesse, un po’ con paura.

Il sapore era quello di… non lo sapeva. Era meraviglioso e non lo conosceva. Mai aveva sentito un sapore così inebriante. Era come se si sentisse improvvisamente fortissima e benissimo. Non aveva più paura, ora sapeva cosa doveva fare e perché era lì.

Le api erano rimaste in attesa, in alto e quando le labbra si toccarono, volarono insieme più in basso a formando una specie di cupola che avvolse i due corpi.
Una cupola grande e spessa, formata da tutte le api uscite dal corpo. Erano tanto vicine le une alle altre che dentro la luce sparì.
Nel buio Elsa senti afferrarsi le mani e guidarle lontano da lei. Sentì il torace dell’uomo, toccò ogn’una di quelle cellette. Coi polpastrelli seguì la geometria di quelle piccole case. Scivolò su quel petto tastandolo guidata dalle mani di lui.

- Adesso.

La voce di lui le parlava posandosi sulla sua mente. Le sue mani la spinsero ancora più dentro il torace fino a toccare qualcosa di morbido, vivo. Le disse:

- Prendimi ora.

E lei assaggiò la sua vita.








Sazia

Non le riusciva di non sorridere. Di non essere contenta. Era scmpata ad un incidente incredibile. Nessuno si sapeva spiegare come avesse fatto a farcela. Sembrava morta le dicevano i suoi amici, tutti sembravano stupiti da quanto era successo.
Si ricordava qualcosa? Niente, a malapena l’albero sul quale era andata a sbattere. Non ricordava niente della vacanza né dei motivi per cui se n’era voluta andatare così in fretta. Sorrideva e non capiva bene perché.

- Fai bene a sorridere, l’hai scampata bella…

Questo le dicevano le amiche e i conoscenti che andavano a trovarla. Ma non era per questo che Elsa sorideva. Era felice. Nel letto, tutta fasciata, coi tubi ancora addosso, dentro, attorno, era felice. Ascoltava il segnale degli strumenti ai quali era collegata e non poteva che sorridere. Si era svegliata da un sogno strano, terribile e bellissimo. Questo ricordava. Non ricordava molto, aveva l’impressione che fosse successo qualcosa di straordinario, ma non sapeva esattamente che cosa.
Era ancora dolorante ma sapeva che sarebbe guarita, era forte, calma.

Era passato un mese da quando era successo l’incidente e da allora Elsa si era svegliata sepre con lo stesso umore bellissimo e negli occhi l’immagine di due meravigliosi occhi color del miele.

Ora era sola, e la sua stanza era piena di fiori come al solito. Avevano aperto e finestre un poco, per fare cambiare l’aria in quella calda giornata primaverile. Nel silenzio fece capolino un piccolo ronzio, un’ape.
Si posò sui fiori di fronte al letto di Elsa, girò un po’ e riprese a volare, questa volta in direzione di lei. Le si posò su una mano ed Elsa la sollevò mentre la piccola ape le danzava sul palmo. La guardò sorridendo, seguendo le sue evoluzioni. Aveva capito, e le rispose.

- Grazie, anche io.


giovedì, dicembre 14, 2006


...dal mio carnet al film "The Fever"











alcuni segni...

martedì, dicembre 12, 2006